I dispositivi ultravioletti
per il trattamento dell’aria
Generalità
La porzione ultravioletta dello spettro elettromagnetico
possiede delle caratteristiche utilmente sfruttabili in numerose
applicazioni. In particolare, nel trattamento dell'aria, è
importante la capacità dei raggi ultravioletti di interagire
con determinate specie chimiche a livello molecolare. Infatti, l'azione
biocida della radiazione ultravioletta di tipo UV-C (cioè
avente lunghezza d'onda compresa tra 280 e 100 nm) dipende dal danneggiamento
delle molecole di DNA del microrganismo esposto. Gli ultravioletti
a lunghezza d'onda maggiore, UV-A (da 400 a 315 nm) ed UV-B (da
315 a 280 nm), pur essendo meno “energetici”, possono
comunque causare l'inattivazione dei microrganismi più sensibili
attraverso altri meccanismi d'azione (stress ossidativo). Diverse
molecole inquinanti sospese nell'aria possono essere modificate
dall'azione dei fotoni ultravioletti, oppure questi possono promuovere
o accelerare delle reazioni di ossido-riduzione in presenza di determinati
catalizzatori, un fenomeno attualmente sfruttato nei filtri di tipo
fotocatalitico utilizzati in alcuni moderni dispositivi per il condizionamento
dell'aria.
Le lampade
germicide
Per una fortunata combinazione, la frequenza di emissione caratteristica
delle lampade ai vapori di mercurio a bassa pressione (253,7 nm,
generalmente arrotondati a 254) è praticamente coincidente
con quella di massima inattivazione dei microrganismi (intorno ai
265 nm, con un intervallo che si estende all’incirca da 220
a 300 nm). In pratica, le comuni lampade fluorescenti sono fondamentalmente
dei dispositivi emettitori di raggi ultravioletti, appartenenti
alla banda UVC dello spettro elettromagnetico, i quali devono essere
convertiti a luce visibile da uno strato di fosfori applicato alla
superficie interna del tubo in vetro di contenimento. Nelle lampade
germicide, invece, il flusso di ultravioletti è libero di
fluire verso l’esterno, perché il tubo di contenimento
è privo di fosfori ed è costituito da un materiale
permeabile agli ultravioletti, il quarzo, al posto del comune vetro
da lampada, opaco a questa frazione spettrale. Durante il procedimento
costruttivo, dopo avere praticato il vuoto, viene immessa nel tubo
di quarzo una piccola quantità di gas nobile (Argon), insieme
ad una minuscola goccia di mercurio (pochi milligrammi). Data la
bassa pressione presente all’interno, il mercurio liquido
si trova in equilibrio con i propri vapori, che permeano l’interno.
Alle due estremità sono presenti due elettrodi formati da
una spirale di tungsteno (catodi) ai quali viene applicata una corrente
di accensione iniziale, che ha il compito di innescare l’emissione
di elettroni per effetto termoionico, con l’aiuto di speciali
sostanze depositate sul filamento spiraliforme. Gli elettroni emessi
provocano la ionizzazione del gas, che diventa elettroconduttivo,
innescando una scarica tra i due elettrodi. La corrente iniziale
viene abbassata automaticamente dall’alimentatore ad un valore
corrispondente a quello di normale esercizio, stabilizzando la scarica.
Il notevole flusso di elettroni che scorre tra gli elettrodi investe
violentemente gli atomi di mercurio presenti sul percorso, con l’effetto
di portare gli elettroni degli orbitali più esterni ad un
livello energetico più elevato, instabile. Quando gli elettroni
del mercurio ricadono al loro livello abituale, l’energia
accumulata viene ceduta sotto forma di radiazione elettromagnetica
ultravioletta, con un picco di lunghezza d’onda a 253,7 nm
(per circa l’85% dell’energia radiante totale). Una
parte dell’emissione possiede una lunghezza d’onda inferiore
(185 nm), importante, come vedremo più avanti, per la sua
proprietà di indurre la formazione di ozono a partire dall’ossigeno
atmosferico, mentre nel visibile viene emessa solo una debole luminosità
azzurrina.
Ogni modello di lampada germicida è caratterizzato da una
curva tipica di intensità radiante, espressa come potenza
irradiata in W per unità di superficie in m2, per un certo
intervallo di distanze dal bulbo emettitore. Questa curva è
un dato indispensabile per un corretto dimensionamento, e deve essere
riportata nella documentazione del costruttore, insieme alle curve
di variazione della potenza in funzione dell’invecchiamento
e della temperatura di lavoro.
Applicazioni negli
impianti
Negli impianti canalizzati, gli emettitori di raggi ultravioletti
possono essere installati in diverse localizzazioni, principalmente
all'interno dei canali ed in corrispondenza delle unità di
trattamento. In genere, è consigliabile privilegiare l'installazione
nelle UTA, dove è maggiore la probabilità di sviluppo
per muffe e colonie batteriche (ad es. Legionella), a causa della
probabile presenza di condensa. Inoltre, nelle unità di trattamento
vi sono condizioni più favorevoli dal punto di vista della
velocità dell'aria, che rappresenta uno dei fattori più
critici per un efficace dosaggio dell'irradiazione (determina la
durata dell'esposizione sui microrganismi in transito). Infatti,
è relativamente semplice “illuminare” con una
dose efficace una superficie fissa; molto più complesso è
invece il trasferimento di una dose efficace di ultravioletti su
un corpuscolo aerotrasportato, che può attraversare la zona
illuminata dalle lampade per una frazione di secondo. Per questo
motivo, la maggior parte delle applicazioni è dimensionata
per ridurre il più possibile la presenza di contaminanti
biologici sulle superfici degli scambiatori termici e dei filtri
meccanici, mentre la sterilizzazione vera e propria dell’aria
in transito è riservata ad alcune situazioni molto esigenti
nei settori sanitario ed alimentare, oppure nell’ambito della
sicurezza. Quando è necessario trattare il flusso d’aria,
la velocità deve essere più contenuta possibile, e
quindi le sezioni devono essere adeguatamente aumentate, formando
dei veri e propri plenum. Ciò significa che le applicazioni
di questo genere su impianti esistenti (retrofit) sono molto difficili
da effettuare, perché non ci sono mai, o quasi mai, gli spazi
tecnici necessari, a meno che ci si trovi in presenza di portate
molto limitate.
Per quanto riguarda l’installazione delle lampade UVC per
prevenire la formazione di colonie di microrganismi sulle superfici
interne delle UTA, è consigliabile utilizzare lampade disposte
con l’asse maggiore parallelo alle superfici da trattare,
disposte in modo da illuminare uniformemente tutta l’area
critica da trattare. Le batterie di scambio termico devono essere
irradiate su entrambi i lati (in caso di spazi insufficienti, privilegiare
comunque l'installazione a valle), mentre per i filtri è
in genere sufficiente trattare il lato di uscita dell’aria.
Tenendo conto dei numerosi fattori che tendono a diminuire la resa
delle lampade nel tempo (invecchiamento dei catodi, assorbimento
del mercurio, opacizzazione del bulbo, sbalzi di temperatura, accensioni
frequenti ecc.), è necessario prevedere un dimensionamento
abbondante del livello di irradiazione iniziale. In alcuni casi,
la documentazione fornita dal costruttore contiene tutti gli elementi
utili ad un corretto dimensionamento (dati prestazionali della lampada,
formule di calcolo, accorgimenti utili per l’installazione):
in altri casi, i dati disponibili sono del tutto insufficienti (succede
spesso con fornitori non specializzati, possibilmente da evitare).
Se non si è sicuri di quello che si sta facendo, è
indispensabile ricorrere a uno strumento in grado di misurare con
precisione l’intensità di irradiazione UVC sulle superfici
da trattare, per verificare il valore medio del campo in µW/cm2.
Un buon valore iniziale di riferimento, per essere sicuri di inibire
a lungo lo sviluppo della maggior parte dei contaminanti biologici,
è pari ad almeno 50 ÷ 100 µW/cm2.
Applicazioni
in ambiente
Negli ambienti dove è necessario diminuire la presenza di
contaminanti biologici, come ad esempio locali affollati con probabile
presenza di persone affette da malattie a trasmissione aerogena,
è possibile intervenire efficacemente con illuminatori UVC
ambientali, in grado di mantenere una densità di irradiazione
sufficientemente elevata al di fuori della zona occupata dalle persone
(che non devono mai essere esposte direttamente). Fanno eccezione
alcuni locali sanitari o industriali, dove il personale deve essere
fornito di appositi indumenti protettivi, maschera totale e guanti
compresi. Su alcuni mercati cominciano a diffondersi delle speciali
plafoniere progettate per irradiare con gli ultravioletti la zona
prossimale al soffitto, presupponendo che, per i normali movimenti
convettivi, tutto il volume d’aria dell’ambiente sia
destinato a transitare nella zona trattata. Naturalmente questo
non accade quasi mai, tranne in casi ideali. Spesso si irradia la
zona di diffusione dell’aria proveniente dagli anemostati
degli impianti canalizzati, ma è assai difficile ottenere
un dosaggio sufficiente a sterilizzare effettivamente l’aria
in transito in questa zona, se non rispettando rigorosi limiti di
velocità del flusso. Nella tipologia di locali con personale
“protetto”, si possono installare senza rischio anche
sistemi di irradiazione ultravioletta nella zona prossimale al pavimento,
per trattare il particolato più grossolano che precipita
a terra, oppure sistemi ad irradiazione diretta nell'intero volume
ambientale. Per inattivare gli aerosol più pericolosi, come
ad esempio in presenza di micobatteri tubercolari, l’intensità
di irradiazione nella zona trattata deve essere mantenuta tra i
30 e i 50 µW/cm2: per ottenere questo risultato,
una regola empirica, ma verificata sul campo, prescrive una potenza
installata di 30 W per ogni 18 m2 di superficie (es.
soffitto). Un aspetto fondamentale da tenere sempre presente riguarda
il rischio di esposizione accidentale di persone non protette: bisogna
sempre verificare, con un’adeguata strumentazione (radiometro
UV portatile), che nella zona occupata non sussistano livelli pericolosi
di irradiazione spuria o riflessa (non si devono superare i 0,2
µW/cm2 all’altezza degli occhi, per una durata
di esposizione non superiore a 8 ore).
Determinazione
del dosaggio e dimensionamento
Ogni microrganismo possiede una propria sensibilità specifica
all’irraggiamento UVC. In letteratura esistono diverse tabelle
che elencano il valore individuale, per le principali specie batteriche,
fungine e virali, del coefficiente “k”, espresso in
m2 trattabili per ogni Joule (Watt per secondo) irraggiato.
Più basso è il valore di k, maggiore è la resistenza
del microrganismo ai raggi ultravioletti. Tale indice si può
riferire al microrganismo in aria oppure su una superficie, e deve
essere utilizzato all’interno di una formula di dimensionamento
che tenga conto di tutte le variabili in gioco. Esistono diverse
formule in letteratura, e la loro descrizione, piuttosto che la
convenienza di utilizzarne una in particolare per determinate situazioni,
è un tema troppo complesso per essere affrontato in questa
sede. Di maggiore utilità immediata è l'indice D90,
cioè la dose in J/m2 necessaria per eliminare
il 90% di una particolare popolazione batterica. Dovendo trattare
delle superfici, utilizzando la curva di intensità radiante
delle lampade fornita dal costruttore, è relativamente facile
verificare se sulle superfici irradiate può sussistere il
livello energetico equivalente al D90 prescelto. Molto più
complessa è la determinazione della dose assorbita dai microrganismi
trasportati dal flusso d’aria, perché entrano in gioco
molte altre variabili (disomogeneità della distribuzione
dei bersagli, turbolenza del flusso, variazioni nella riflettività
delle pareti, ecc.). In generale, si possono ottenere dei risultati
soddisfacenti verificando che la dose irradiata a livello delle
pareti del plenum, in cui sono contenute le lampade, sia adeguata
(come se si ricercasse il solo trattamento delle superfici), cercando
di tenere una velocità dell'aria di progetto più bassa
possibile. Infatti, al crescere della velocità, non solo
diminuisce notevolmente la dose di UVC assorbita dai microrganismi,
ma si riduce in modo sensibile anche il rendimento della lampada
esposta al flusso (windchill effect). In pratica, è del tutto
sconsigliabile prevedere velocità dell'aria superiori a 1
m/s. Inoltre, è utile prevedere l’utilizzo di una o
più lampade tubolari poste centralmente alla condotta, con
l’asse maggiore coincidente con la direzione del flusso. Ad
esempio, se vogliamo eliminare dal nostro flusso d’aria l’agente
della tubercolosi, il Mycobacterium tubercolosis, caratterizzato
da un valore D90 pari a 26,7 J/m2 (per le superfici),
verificando di avere effettivamente almeno questo valore sulle pareti
di un plenum lungo un metro, con una velocità dell’aria
pari a 1 m/s, è intuitivo che avremo sicuramente una dose
erogata, nel volume del flusso, maggiore del valore misurato a livello
delle pareti, che rappresentano la superficie più lontana
dalle lampade. Ricordiamo che il valore che troviamo sulla curva
di potenza irradiata o il valore letto su un radiometro UVC, è
espresso in W/m2 (o in µW/cm2): per
trasformarlo nel valore di energia erogata, dovremo moltiplicarlo
per il tempo di esposizione in secondi, che dipende dalla velocità
dell’aria e dalla lunghezza del percorso irradiato. Nel nostro
esempio, utilizzando un plenum di 1 metro e una velocità
dell’aria pari a 1 m/sec, il tempo di esposizione sarà
di 1 secondo, quindi i due valori coincideranno. Bisogna sottolineare
che l’energia erogata non corrisponde mai alla dose effettivamente
assorbita dal microrganismo, che è sempre minore (per effetti
di mascheramento, turbolenza, ecc.). Per questo motivo, si dovrà
aggiungere al valore teorico almeno in 10÷15% di margine
in più.
Le spore di muffa sono molto più resistenti ai raggi UVC
rispetto a virus e batteri, perciò un sistema dimensionato
su questi ultimi non ci tutelerà dalla contaminazione da
muffe. Viceversa, dimensionando un sistema per eliminare le muffe,
automaticamente saremo protetti nei confronti dei rimanenti microrganismi.
Purtroppo, l’inattivazione della maggioranza delle spore fungine
richiede dosi di UVC tra le cento e le mille volte superiori rispetto
alle più comuni forme vegetative batteriche.
Fattori che influenzano l’efficacia
e la vita operativa delle lampade
Le lampade germicide a bassa pressione sono degli apparati tecnicamente
abbastanza semplici, e soffrono l’influenza di una moltitudine
di parametri: l’invecchiamento, la temperatura, l’umidità
relativa, la polverosità e la velocità dell’aria,
sono i principali parametri peggiorativi che possono ridurre drasticamente
l’emissione e/o il trasferimento dell’irradiazione sul
bersaglio, fino a comprometterne completamente l’efficacia.
Quindi, prima di progettare un’istallazione, occorre consultare
attentamente la documentazione del costruttore, che deve fornire
tutti i dati (molti notevolmente diversi da lampada a lampada) necessari
a compensare questi effetti negativi e a prevedere una corretta
manutenzione. Un aspetto molto importante, quasi mai tenuto in considerazione,
è rappresentato dagli alimentatori. I moderni alimentatori
elettronici, che hanno quasi del tutto soppiantato la coppia starter
e reattore induttivo generalmente usata fino a pochi anni fa, sono
molto efficaci (e capaci di compensare alcuni dei fattori negativi
elencati in precedenza) ma sono molto sensibili al calore, che producono
essi stessi in abbondanza. Devono quindi essere sempre installati
in zone ventilate e lontane da fonti di calore, quindi opportunamente
distanti dalle batterie riscaldanti delle UTA, altrimenti possono
danneggiarsi irrimediabilmente in breve tempo.
La produzione
di ozono
Come abbiamo visto precedentemente, le lampade ultraviolette a bassa
pressione emettono prevalentemente alla lunghezza d’onda di
253,7 nm, ma sono caretterizzate da un secondo picco di emissione,
di minore entità, a 182 nm. A quest’ultima lunghezza,
i raggi UV hanno la caratteristica di interagire fortemente con
le molecole di ossigeno atmosferico (O2), provocandone
la rottura e la successiva ricombinazione sotto forma di ozono (O3).
A livello costruttivo, è possibile fare in modo di bloccare
o no la fuoriuscita della frazione ultravioletta a 182 nm, utilizzando
una diversa qualità di materiale per la realizzazione del
bulbo della lampada. Molti costruttori producono la medesima lampada
UVC nelle due versioni, con e senza la possibilità di produrre
ozono. La presenza di ozono può potenziare gli effetti germicidi
delle lampade ed esercitare un buon effetto deodorizzante, ma rappresenta
un fattore di rischio non trascurabile per le persone: l’uso
delle lampade UVC producenti ozono è quindi riservato ai
sistemi chiusi (UTA e condotte), verificando che tutto l’ozono
prodotto reagisca nel sistema senza propagarsi nell’ambiente.
L’utilizzo nei sistemi aperti (nei locali confinati) è
ammissibile solo in assenza di persone, oppure a condizione di non
superare mai il limite di concentrazione stabilito per l’ozono
in ambiente (0,05 ppm per un massimo di 8 ore di esposizione). Il
fortissimo potere ossidante dell’ozono può danneggiare
rapidamente le guarnizioni ed il rivestimento isolante dei cavi
elettrici nelle vicinanze delle lampade, a meno che tali componenti
siano stati realizzati con appositi materiali ozono-resistenti.
Innovazione
in corso
Dopo molti anni di stasi, i dispositivi ultravioletti per il trattamento
dell’aria stanno attraversando un periodo di netta evoluzione.
Molte lampade della generazione più recente offrono prestazioni
migliori ed una vita operativa maggiore, grazie anche all'impiego
degli alimentatori elettronici. Iniziano ad arrivare sul mercato
i primi esempi di generatori UVC completamente allo stato solido,
realizzati con diodi luminosi (LED), molto promettenti, ma per ora
relegati nel settore delle potenze medio-piccole. Forse l’innovazione
più importante è quella che vede i raggi ultravioletti
usati contemporaneamente come germicidi e come fonte di energia
per l’ossidazione catalitica degli inquinanti preseti nell’aria:
alcuni costruttori cominciano a proporre unità di trattamento
dell’aria, in cui le superfici illuminate dalle lampade UVC
sono trattate con vernici catalizzate, trasformando così
filtri e batterie di scambio termico in veri e propri reattori catalitici.
L’evoluzione in corso non riguarda solo il campo tecnico,
ma anche il settore normativo: il TC 2.9 dell’ASHRAE negli
Stati Uniti, ed il SC05/GC02/GL02 del CTI in Italia (una volta tanto
in prima linea, non come semplice mirror group), sono i due gruppi
di lavoro attualmente impegnati nella redazione delle nuove norme
sui dispositivi ultravioletti per il trattamento dell’aria,
uno strumento indispensabile per gli addetti ai lavori e per coloro
che si affacciano da neofiti a questa affascinante tecnologia.
Bibliografia
“Ultraviolet Lamps Systems”, Chapter 16, ASHRAE Systems
and Equipment Handbook, 2008
"General Guideline for UVGI Air and Surface Disinfection Systems";
“Guideline for Design and Installation of UVGI In-Duct Air
Disinfection Systems", IUVA, International Ultraviolet Association,
2005
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Generalità
Le
lampade germicide Applicazioni
negli impianti Applicazioni
in ambiente Determinazione
del dosaggio e dimensionamento Fattori
che influenzano l'efficacia e la vita operativa delle lampade
La
produzione di ozono
Innovazione
in corso Bibliografia |
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L’emissione
caratteristica delle lampade a vapori di mercurio a bassa
pressione, nella banda UVC dello spettro elettromagnetico,
coincide quasi perfettamente con la lunghezza d’onda
più efficace per l’inattivazione dei microrganismi
(254 nm), individuata su una curva ricavata sperimentalmente. |
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La struttura
delle lampade germicide più diffuse è molto
simile ai normali tubi fluorescenti, fatta eccezione per l’assenza
dei fosfori che convertono gli ultravioletti in luce visibile
e per l’utilizzo di un tubo in quarzo, permeabile agli
ultravioletti, al posto del vetro. |
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Nelle unità di trattamento
aria, le lampade UVC devono essere collocate in modo da irradiare
efficacemente le superfici uscenti, rispetto alla direzione
del flusso d’aria, delle batterie di scambio termico
e dei filtri. Un'errata collocazione o un errato dimensionamento
della potenza delle lampade possono rendere completamente
inefficace l’applicazione. |
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La temperatura
di esercizio delle lampade può influire molto sul rendimento,
un aspetto da compensare nel calcolo del dimensionamento.
Gli alimentatori soffrono particolarmente le alte temperature
e devono essere sempre installati lontano dalle batterie di
riscaldamento. |
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L’azione
delle lampade UVC deve sempre essere protetta e rinforzata
da un’adeguata filtrazione dell’aria. Per questo
è indispensabile rispettare i requisiti minimi di filtrazione
previsti delle norme UNI EN 13779 e 10339 a livello di presa
d’aria esterna, di unità di trattamento ed eventualmente
dei terminali. |
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In ambienti
con particolari esigenze di disinfezione, è possibile
mantenere un adeguato campo di irradiazione ultravioletta
nelle zone prossimali al soffitto o al pavimento, in modo
da trattare l’aria che scorre in queste zone per convezione
termica o per ventilazione meccanica. Le persone non devono
mai essere esposte alla radiazione diretta, se non protette
da appositi indumenti. |
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In presenza
di occupanti non protetti, è possibile utilizzare degli
irradiatori ultravioletti ambientali, a patto di verificare
accuratamente l’assenza di irradiazione significativa
nella zona occupata mediante rilevazioni strumentali. |
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Un esempio
di lampade UVC installate in una canalizzazione. In questo
tipo di applicazione è necessaria una densità
di irraggiamento molto elevata, data la sezione ridotta, e
quindi, un tempo di esposizione contenuto a causa della velocità
dell’aria relativamente elevata. |
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Per la disinfezione
estemporanea degli ambienti si utilizzano degli irradiatori
UVC mobili di elevata potenza. Questi apparecchi sono in genere
dotati di un timer per l’azionamento temporizzato e
di dispositivi di sicurezza (sensori di presenza) per evitare
l’irraggiamento accidentale delle persone. |
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I raggi UVC
sono particolarmente efficaci nel promuovere l’ossidazione
degli inquinanti organici depositati sulla superficie di appositi
collettori o di fibre filtranti, tramite l’attivazione
di particolari catalizzatori. La maggior parte delle reazioni
è mediata dalla formazione di radicali liberi fortemente
reattivi, provenienti dalla scissione di molecole d’acqua.
1. l’urto dei fotoni ultravioletti provoca il rilascio
di un elettrone libero (carica negativa) e di una carica positiva
da parte del catalizzatore;
2. in presenza di molecole d’acqua disponibili, le cariche
provocano la formazione di radicali liberi (ioni idronio ed
ossidrile);
3. i radicali reagiscono con i depositi di materiali organici,
neutralizzandoli;
4. residuano i prodotti di reazione, in condizioni ideali
formati da anidride carbonica ed acqua: in realtà la
carenza di reagenti o un tempo di reazione insufficiente (soprattutto
per errato dimensionamento) possono portare a intermedi potenzialmente
tossici. |
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Esempio di
radiometro portatile per la determinazione dell'irraggiamento
UV-C sulle superfici trattate, corredato dell'apposita sonda
di lettura. Solo una misura strumentale, da ripetere periodicamente,
può garantire il raggiungimento di un'intensità
di irraggiamento veramente efficace. |
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